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L'indipendenza delle donne

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JAMBIANI BEACH

Zanzibar

 

Quando sono arrivata a Zanzibar, già avevo sentito parlare delle donne lavoratrici dell’isola. Sapevo che alcune di loro lavoravano come maestre, come cuoche o cameriere nei ristoranti o hotel, c’è chi ha un’attività commerciale personale, alcune di loro fanno tatuaggi henne, altre lavorano le alghe, le corde, e le spugne.

Io mi sono stabilizzata a Jambiani, che è un piccolo villaggio di capanne e case costruite con legno nella parte sud orientale dell’isola di Unguja. 

A Jambiani il mare è caratterizzato da grandi maree che regolano i ritmi di vita: durante la bassa marea si ha la possibilità di svolgere il lavoro della coltivazione delle alghe. Questo mestiere, molto faticoso, viene svolto da donne e bambini dalla fine degli anni ’80. Vengono coltivate in piccoli appezzamenti subacquei che ricordano, ingenuamente, i nostri orti domestici, delimitati da bastoncini e fili. Le alghe, dal colore bruno e rossastro, ci mettono 3 tre mesi a maturare, poi vengono raccolte e portate ad essiccare lontano dal mare. In seguito, vengono spedite in una vicina industria che si occupa del confezionamento e della spedizione in Paesi dove sono considerate una prelibatezza gastronomica, ed ai laboratori cosmetici del mondo per ricavarne componenti di creme e prodotti di bellezza. Oppure vengono portate al Seaweed center di Paje, un piccolo centro dove le donne possono utilizzare le alghe raccolte per creare saponi, oli profumati, body scrub...che poi vengono venduti presso market e hotel turistici.

Poi ci sono le donne che lavorano alla “Sponge Farm” a Jambiani.

Queste fattorie delle spugne nascono grazie a "Marine cultures" che è una piccola organizzazione senza scopo di lucro, fondata nel 2008 in Svizzera e con sede a Jambiani.

Gli esperti dell'associazione hanno identificato che nell’ultimo periodo le Spugne, organismi presenti sul nostro pianeta da più di 500 milioni di anni, hanno subito un’anomala moria. L'ipotesi che hanno fatto, è che possa essere causata da un patogeno esterno dovuto alla monocoltura, portata avanti fino ad ora. Ovviamente inquinamento ambientale, micro plastiche e aumento della temperatura dell’oceano restano nelle ipotesi considerate.

Dopo queste ricerche, hanno deciso di affinare le tecniche e l’attività nelle fattorie di spugne si è allargata, diventando una nuova professione per le donne del villaggio costiero di Jambiani. Ora la Marine cultures si occupa anche dello sviluppo imprenditoriale delle addette alla farm.

Durante il mio soggiorno lì ho aspettato diversi giorni prima di riuscire ad incontrarle, perchè volevo raggiungerle nel loro luogo di lavoro: nel mare cristallino a qualche centinaio di metri dalla riva di una spiaggia bianca e fine, simile a farina. Eravamo immersi fino al petto nell’acqua, circondati solo dal silenzio, dal suono delle onde che si infrangevano sulla barriera corallina poco più avanti, dal canto del vento e il rumore delle mani delle donne e dei loro attrezzi, che lavoravano.

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Ci destreggiavamo tra un riccio e l’altro posati sul fondale, facendo attenzione a non schiacciarli e con movimenti scoordinati cercavo di non bagnare troppo l’attrezzatura fotografica. Sono stata con loro qualche ora e ho potuto conoscere Zainabu. Madre single, immersa fino alla vita nell’acqua, sembra una piccola visione: avvolta in un velo dello stesso color turchese del mare sembra un’emissaria di questo oceano straordinario. Lei, come le altre donne, oltre a stare tutto il giorno sotto al sole bruciante dell’isola, si prende cura di questi organismi, che ci mettono dai nome mesi a un anno per svilupparsi, con delicatezza e fermezza, come solo una madre sa fare. Li vede crescere, se ne prende cura con i pochi strumenti di lavoro che le vengono forniti, pulendo le spugne dalla vegetazione e dai parassiti, potandole per dare loro una forma rotonda e vedendole morire si prepara a creare dei prodotti per la vendita nelle vetrine degli hotel e sui banchi dei market dedicati a turisti distratti.

Il lavoro di Zainabu, come quello delle molte donne nelle fattorie delle spugne, non va considerato come una mera fonte economica.

Nel fragile panorama ambientale, il lavoro silenzioso di queste donne le rende custodi di un patrimonio fondamentale per lo sviluppo della comunità locale e la salvaguardia degli equilibri naturali di un habitat messo sotto pressione.

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